«Avevamo intuito che c’era uno spazio per lavorare sulle competenze dei giovani nell’economia sociale, sulle competenze delle imprese sociali che già erano attive per innovare i servizi, perché stavano nascendo nuove fasce di bisogno: le mamme, gli anziani e l’invecchiamento attivo, i giovani che iniziavano a dare un senso nuovo al lavoro.
E così abbiamo iniziato a lavorare in questo settore migliorando le competenze e i servizi». Social Seed è nata dieci anni fa a Bologna «come piccola startup di supporto alle imprese sociali, al terzo settore, alla cooperazione sociale per innovare i servizi e le strategie», da un’idea di Francesca Battistoni, dottore di ricerca in Policy design, e Giulia Sateriale, specializzata a Londra in Environmental economics and sustainable development.
«L’economia sociale non è una questione di nicchia, ma è entrata nei cluster industriali e nelle politiche europee»
Nel tempo, racconta Battistoni, «il gruppo si è allargato, siamo diventati una decina, perlopiù donne. E al contempo abbiamo allargato i nostri servizi. Ci siamo resi conto che l’innovazione di servizi non funzionava bene se non accompagnata da un lavoro sulle strategie e sull’organizzazione».
«Nel tempo – prosegue Battistoni – siamo diventati sempre di più un agente di cambiamento territoriale: non accompagniamo solo imprese sociali ma anche istituzioni, la Pubblica amministrazione, a collaborare e innovare, a trovare forme di costruzione di politiche di economia sociale diverse dal passato». E questo perché, precisa, «l’economia sociale non è una questione di nicchia, che attiene solo al terzo settore e alla cooperazione sociale, ma è entrata nei cluster industriali e nelle politiche europee. È una questione che riguarda tutti, pezzi di economia fondamentali».
Due progetti coltivati da Social Seed raccontano bene questa evoluzione. L’impresa sta seguendo, a Bologna e a Reggio Emilia, la nascita delle Case di quartiere, «risultato – spiega Giulia Sateriale – della trasformazione degli ex centri sociali, utilizzati ormai solo da un target di persone anziane, in un luogo di presidio di comunità», aperto dunque a diverse generazioni e diverse realtà.
In questo percorso di cambiamento l’input è stato quello di «conoscere le associazioni che già lavoravano nel quartiere, creare nuove alleanze, aprirsi al territorio e a nuovi bisogni, quelli di famiglie, bambini, adolescenti, universitari, nuove generazioni, migranti e stranieri».
Un processo di «cambiamento culturale per luoghi finora basati sul volontariato, verso un sistema se non imprenditoriale, sicuramente più imprenditivo». E che può contare, come ausilio a una sua ristrutturazione sociale, «sulla nascita di manager di quartiere che collaboroano e creano servizi trasversali fra le diverse realtà sul territorio».
Social Seed, poi, è scesa in campo già sei anni fa per “Insieme per il lavoro”, il progetto che ha come obbiettivo, ricorda Sateriale, «di aiutare un target di fascia media di persone che ha necessità di un supporto particolare nella ricerca del lavoro». Il progetto «è stato sperimentale nella sua costituzione, perché si trattava di unire due entità assai diverse, la Curia e l’amministrazione metropolitana.
Abbiamo seguito poi diversi progetti di innovazione sociale, con lo scopo di creare nuovi post di lavoro. Quasi cinquanta di questi sono stati finanziati e accompagnati da noi».
A cura di: Lavinia Lundari Perini
Pubblicato su: Album Emilia-Romagna, La Repubblica