Partiamo da una parola. Negli ultimi due anni, nel web e nelle relazioni dei principali osservatori internazionali come World Economic Forum, OCSE, Banca Mondiale, UN, uno dei termini più ricorrenti è quello di “permacrisi”. In breve, con questo termine ci si riferisce ad un ricorso permanente e ricorrente di più crisi correlate tra loro, il cui effetto è di produrre continui e aumentati effetti di ulteriori ondate di crisi, che si alimentano e rinforzano a vicenda.
Aumento delle disuguaglianze sociali, crisi climatica e ambientale, cambiamenti demografici, polarizzazione sociale ed economica legata alle imprese e al mondo del lavoro, conflitti e riposizionamenti geopolitici, digitalizzazione dei processi e delle relazioni, flessione della fiducia nelle istituzioni democratiche sono alcuni dei principali argomenti che ricorrono nelle analisi dei trend e che vanno a ridefinire le condizioni a partire dalle quali ripensiamo oggi le politiche pubbliche e le programmazioni.
A cosa ci dobbiamo preparare, quindi?
I sistemi economici, sociali, infrastrutturali e territoriali di consumo e produzione che abbiamo conosciuto negli ultimi cinquant’anni non hanno più tenuta rispetto alle nuove nuove sfide sociali, economiche e ambientali.
Il lavoro e il suo mercato rispondono sempre meno alla capacità delle persone di accedere alle sicurezza di base, le città devono rivedere i loro modelli di crescita e di tenuta sulla casa, sui cambiamenti climatici, sull’esclusione, il diritto alla salute e alla cura sta subendo una messa in discussione circa la tenuta del welfare, la longevità non trova risposte sistematiche ma sporadiche. Ciascuno di questi temi di cambiamento è un campo aperto costruito da molti fattori, non riducibili a politiche ed azioni di settore: questa è l’urgenza di cui ancora si fatica ad ammettere collettivamente il bisogno.
Serve, dunque, incidere sul cambiamento dei sistemi in cui sono radicati i nuovi assetti e bisogni della società e, attraverso questa via, porre le basi per ripensare modelli di sviluppo complessivi. Per quanto l’orizzonte di questi sistemi in crisi parta da scale globali e da regolamentazioni statali, la ricaduta e la presa in carico spetta anche – e sempre di più – ai territori, dove è richiesto alle istituzioni e alle organizzazioni di lavorare alla loro gestione, attraverso uno sguardo che parte non più dai settori di appartenenza ma dai sistemi complessivi.
Quale margine effettivo hanno i territori per agire sulle crisi dei sistemi?
Come possono costruire nuove prospettive per politiche ed azioni indirizzate alla trasformazione dei sistemi e non solo al loro aggiustamento estemporaneo?
Questi non possono essere che interrogativi destinati a rimanere aperti, che pongono la questione delle scale da cui partire per riplasmare i sistemi, con i relativi problemi (importanza della dimensione territoriale ma rischio localismo, tanto per fare un esempio).
L’esperienza di CONVERGENZE come programma sulle politiche trasformative è nata da queste domande e dalle richieste di un gruppo di amministratori pubblici, dirigenti ed imprenditori che si ritrovano, sempre più, a dover capire non solo come eseguire programmi e interventi in proprio, ma anche quali domande di politiche sono oggi sfidanti e come si può fare per “convergere” sui problemi, prima ancora che su alleanze operative.
Il primo esperimento della Scuola di alta formazione di Convergenze 2024 in Emilia Romagna, è stato così uno spazio di riflessione su come collaborare e operare in modo sinergico tra istituzioni, organizzazioni del territorio, e saperi esperti sull’innovazione e le politiche rispetto agli approcci da adottare, agli strumenti da mettere in campo e alla capacitazione istituzionale per gestire le trasformazioni dei sistemi. a partire dai territori.
Convergenze: un programma per le politiche trasformative
Convergenze è dunque il nome di un programma ma anche di un bisogno delle istituzioni di reindirizzare le loro intenzioni e farle convergere verso politiche di trasformazione e non politiche di aggiustamento, e verso azioni congiunte non solo a partire da alleanze prestabilite, ma sulla base di diverse settorialità, competenze e asset utili a rimodellare sistemi attraverso di progetti complessi.
La difficoltà più grande per fare questo è quella di di alzare lo sguardo dal programma di settore al sistema e dall’impatto di progetto all’effetto complessivo di cambiamento nell’azione congiunta tra molti attori che operano in campi diversi.
Convergenze ha preso avvio dalla volontà di costruire un gruppo di interesse che tenesse conto di questi aspetti di gestione dell’innovazione trasformativa a scala territoriale per sperimentare le opportunità e le capacità che gli attori hanno a disposizione. Hanno preso parte del programma:
- gli enti pubblici locali a diversa scala, che programmano e gestiscono la ricaduta di fondi, bandi e risorse pubbliche, nonché la capacità di indirizzare spazi pubblici di confronto e di azione
- le istituzioni intermedie e di categoria, che sempre più reindirizzano il loro ruolo come attori che intervengono sul processi di sviluppo locale
- le imprese e le organizzazioni che operano sulle catene di produzione e sui servizi, sfidati dai cambiamenti che li portano a guardare ad altri settori
- gli istituti bancari di territorio che svolgono un ruolo non solo a valle dei processi progettuali, ma che possono reindirizzare i finanziamenti verso le trasformazioni complesse
Il programma Convergenze vuole essere uno spazio in cui queste istituzioni, nel momento anche storico in cui sentono di dover reindirizzarsi come soggetti attivi, possano ragionare sugli approcci, sugli strumenti e sul loro ruolo di agenti di cambiamento dei sistemi territoriali. Avere a disposizione uno spazio di confronto è ciò che permette di formare quella intenzionalità ed attenzione alle nuove trasformazioni. Ma è altresì un modo per convergere verso proposte di azione congiunta, a partire da interessi comuni e progetti praticabili. Il presupposto è che le azioni di trasformazione dei sistemi – possibili su molteplici scale diverse – richiede un approccio, un metodo, richiede capacità e azioni di policy, e richiede altrettanto intenzionalità di politics, con uno sguardo ad una democrazia che non sia solo rappresentatività ma rinnovo delle istituzioni nel cogliere il bisogno di cambiamento dei modelli di sviluppo e nel coinvolgere i soggetti abilitandoli e affrontando i trade-off che ne conseguono .
Trasformare vs. aggiustare
Cosa vuol dire lavorare sulla trasformazione dei sistemi e non solo aggiustare l’esistente?
Parliamo di trasformazione di sistemi perché le grandi sfide che stiamo affrontando in questi anni (le cosiddette transizioni – ecologica, digitale, demografica) ci richiedono un approccio all’innovazione che vada oltre il livello incrementale, di aggiustamento dell’esistente, ci mettono insomma di fronte alla necessità di incidere non sulla revisione di modelli e sistemi finora esistenti ma sulla loro trasformazione.
Stiamo parlando di nuove modalità di approcciare i problemi attuali delle società in cui viviamo che esigono di essere inquadrati diversamente sia nella lettura che nella elaborazione di soluzioni, di nuove risposte alle grandi sfide che l’umanità si sta dando come ambiziosi traguardi non ulteriormente rimandabili.
La direzione che si prefigura è un cambiamento dei sistemi socio-tecnici ed economici che costituiscono l’ossatura delle nostre società e dei modelli delle organizzazioni e istituzioni. Il grande campo di sperimentazione è ora capire come queste transizioni possano essere incorporate nelle politiche territoriali, nello sviluppo delle organizzazioni – pubbliche o private -, negli assetti delle istituzioni e negli stili di vita delle persone, nonché su come possano essere messe a terra concretamente nell’analisi dei bisogni, delle opportunità e delle strategie per realizzarli. In questo campo ci stiamo muovendo promuovendo e facendo cultura di un nuovo approccio all’innovazione: l’innovazione trasformativa.
“Produciamo innovazione trasformativa quando non ci occupiamo di gestire o migliorare un bisogno o problema isolato attraverso un’attività, un servizio o uno scambio di settore, ma quando interveniamo a cambiare un sistema complesso – rispetto ad una grande sfida – che non funziona più o non risponde più alle esigenze attuali.”
Questo nuovo approccio implica un processo aperto e circolare, non lineare, e che in parte supera le pratiche del design (di servizio, strategico..) che abbiamo conosciuto finora in termini di tools specifici da applicare fase per fase per guidare un percorso, ma li integra in un processo che supporta la capacità di visione degli interi sistemi, anche se poi ricade su strategie localizzate e azioni puntuali anche piccole e sostenibili dalle organizzazioni.
Cosa significa in pratica trasformare un sistema?
Significa rivedere i sistemi attuali che non funzionano, a partire dalle cause, fattori e driver che producono a catena il problema, lavorare nella direzione di implementare policy, programmi complessi o azioni congiunte che incidono sulle cause di un problema di sistema e non solo su nuovi servizi/programmi che migliorino gli attuali.
Questa è la condizioni per evitare di limitarsi al solo fixing dei sistemi che non funzionano più: la radicalità passa più dall’approccio e dell’attenzione ai problemi di sistema, che non da azioni poco fattibili. E la dimensione locale su cui esercitare la trasformazione dei sistemi può trainare istanze da riportare poi ad altri livelli e scale in cui le condizioni di modelli di sviluppo potranno essere affrontate.
Cambiare i sistemi implica due operazioni a fondamento:
- coinvolgere più settori con relative competenze, coordinandoli verso una sfida trasformativa come direzionalità di trasformazione di azioni diverse;
- lavorare non solo sul fronte dei servizi o dei modelli collaborativi, ma più estesamente su quello dei sistemi produttivi, dei sistemi sociali di vita, sulla ricomposizione di bisogni, della cultura, delle pratiche quotidiane di vita delle persone e della loro diffusione.
La cross-settorialità non è solo necessaria per aggregare le competenze di diversi attori e istituzioni nel costruire le risposte a sfide trasformative, ma è anche la premessa per poter ricomporre la domanda di trasformazione, che di per sé non è (spesso, ancora) formalmente costituita ed esplicita.
Dalle politiche trasformative alle loro condizioni: rivedere le istituzioni
“Fare innovazione trasformativa vuol dire prendere in mano i problemi dei sistemi. Per questo diciamo che siamo nel campo delle policy: perché non soddisfiamo bisogni, ma ricostruiamo problemi pubblici, partecipando alla loro soluzione”
Avevamo già scritto qui sulla necessità di riportare l’attenzione alle “buone istituzioni” come i veicoli sociali , economici e politici che mediano i cambiamenti, rendendoli possibili. I continui focus che negli ultimi decenni hanno evidenziato il tema della leadership, anche nel campo dell’innovazione, sono stati importanti, ma in parte hanno coinciso con la dimenticanza del ruolo che le istituzioni hanno sia nel rendere possibili nuove politiche e assetti di sistema, sia poi di mantenerli, ancorandoli a strutture stabili e a pratiche consolidate non occasionali – oltre che nell’essere veri processi democratici.
Il discorso sulle istituzioni, insomma, ci riporta a ragionare su una dimensione più collettiva e collegiale (e conflittuale anche), da un lato, e più di struttura e di sistema dall’altro. Le istituzioni – come ricordava Carlo Donolo – non sono altro che beni comuni e come tali vanno curate. Possiamo leggere questo percorso iniziato con Convergenze proprio come una richiesta che le stesse istituzioni – pubbliche, di corpi intermedi, finanziarie, di impresa – fanno per ripensarsi e dare avvio a nuovi processi istituenti, cioè ad una manutenzione delle istituzioni stesse, necessaria ciclicamente per essere adeguate a creare valore in contesti che mutano, interrogandosi oggi su mutazioni radicali.
Sono le istituzioni non estrattive, quelle capaci di radicare nuove abitudini e prassi, a poter incidere sul cambiamento dei sistemi e quindi, nel lungo, a poter elaborare la prospettiva di nuovi sistemi di sviluppo sostenibili per le persone e per l’ambiente.
Su questo tema – che crediamo essere ormai maturo per un’agenda ampia – già sono molte le riflessioni di chi recupera approcci all’economia anche critici, capaci di riportarci al tema della creazione di valore complessivo e ai limiti sia della logica del puro mercato, sia degli interventi di correzione che alla prova dei fatti reggono sempre meno.
Convergenze stesso, come scuola attiva e praticata, è in certo senso un modo per dare avvio a nuovi processi istituenti, rispetto cui gli apprendimenti di questa edizione sono:
- serve lavorare sul lungo termine, non su azioni di leadership immediate soltanto
- serve attenzionare le forme con cui organizzazioni imprenditoriali e pubbliche agiscono per spostarle in sincronia, capendo quale minuscola azione oggi può spostare i sistemi domani, se allineata ai problemi del sistema stesso e non solo alla correzione di effetti negativi ed esternalità
- le risposte non sono date dal design di facili soluzioni, ma da processi complessi, da curare
- dato che non ci sono risposte predefinite su cui contare, dobbiamo usare queste occasioni per creare dei campi fertili di opportunità, dove spostare i paletti di una certa cultura della settorialità e di un certo corporativismo, che impediscono le trasformazioni di cui abbiamo bisogno.
A cura di: Francesca Battistoni, Nico Cattapan
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